“Chi per la Patria muor, vissuto è assai”. In volo con Adriano Visconti / parte II

“Chi per la Patria muor, vissuto è assai”. In volo con Adriano Visconti / parte II

04/02/2022 Off Di   Redazione   In   Officina   

a cura di Cristina Di Giorgi

Il 18 settembre 1943 Mussolini, dai microfoni di Radio Monaco, annuncia l’imminente costituzione della Repubblica Sociale Italiana, che inizia subito ad organizzare le proprie Forze Armate. All’aviazione, guidata da Ernesto Botto, aderisce quasi subito Adriano Visconti, con motivazioni simili alla maggior parte dei suoi commilitoni: difesa delle città italiane dai bombardamenti alleati, rispetto per la memoria dei Caduti e volontà di difendere l’Onore dell’Italia. Il 1° Gruppo Caccia (di cui Visconti fa parte con il ruolo di capitano della Squadriglia “Asso di Bastoni”), di stanza a Mirafiori, il 3 gennaio 1944 torna a combattere. Ed è di Visconti la prima vittoria dell’ANR (quattro aerei nemici abbattuti). Alla fine di gennaio il Gruppo viene trasferito in Veneto e dislocato tra Campoformido (Udine), Aviano, Pozzuolo del Friuli e Osoppo, ripetutamente bombardate dagli angloamericani. Il mese successivo, in seguito all’abbattimento dell’aereo del comandante del Gruppo, Visconti ne prende temporaneamente il posto. Non molto dopo il 1° Gruppo Caccia va a Reggio Emilia e anche da qui si susseguono numerosi combattimenti, in cui gli uomini di Visconti (promosso Maggiore per meriti di guerra) non cessano di dimostrare il loro valore.


Amatissimo da tutti i suoi uomini, Visconti è sempre personalmente alla guida del suo Reparto, con il quale affronta decine di scontri. Le perdite di mezzi e soprattutto di uomini, però, sono numerose. Il che contribuisce a provocare un profondo malcontento, destinato a sfociare in una vera e propria crisi. Come risultato della protesta, i “ribelli” vengono in parte congedati, in parte trasferiti ed in parte mandati in licenza obbligatoria. Tra questi ultimi anche Adriano Visconti, che in seguito viene però richiamato. Poco dopo (agosto 1944), si consuma una nuova crisi estremamente grave: i tedeschi, che miravano ad incorporare gli italiani nell’aviazione germanica, circondano gli aeroporti e le sedi in cui erano dislocati i gruppi dell’ANR. Molti ufficiali e piloti, Visconti in primis, si oppongono nettamente all’iniziativa. E riescono a sventarla. L’operazione tedesca, sebbene fallita, ha comunque come seria conseguenza il blocco per diversi mesi delle operazioni belliche. Quanto al reparto guidato da Visconti, dopo i necessari chiarimenti un cospicuo contingente viene mandato in Germania per addestrarsi sui Messerschmitt. Rientrato in Italia a metà di gennaio 1945, il personale del 1° Gruppo Caccia riprende le operazioni. Tra le missioni effettuate in questi ultimi mesi di guerra, di particolare rilievo quella del 14 marzo, in cui l’intero Gruppo sostiene un duro combattimento aereo nei cieli della Lombardia, durante il quale viene tra l’altro abbattuto l’aereo di Adriano Visconti. Il maggiore, ferito al braccio e al volto, riesce a salvarsi lanciandosi con il paracadute.


Il conflitto comunque ormai è alla fine. Consapevoli di una ormai prossima cessazione delle ostilità, Adriano Visconti e i suoi ufficiali avevano discusso sul da farsi: l’idea è quella di attenere in armi l’arrivo degli alleati e di arrendersi a loro, essendo le formazioni partigiane ritenute prive dello status di forze combattenti. Nei giorni a cavallo del 25 aprile Adriano Visconti, onde garantirne la sicurezza, aveva concentrato il personale a Gallarate. Qui, in un clima tesissimo, vengono avviate trattative per la resa, alle quali prendono parte esponenti partigiani di diversa estrazione politica e incaricati della Regia Aeronautica, del governo del Sud e del Comitato di liberazione nazionale. Il maggiore Visconti, le cui priorità sono evitare spargimenti di sangue e avere garanzia di salvezza per il personale del Gruppo, accetta di firmare il documento di resa. E’ il 28 aprile 1945. La mattina successiva, dopo un toccante discorso del comandante Visconti, il 1° Gruppo Caccia viene ufficialmente sciolto.

Poco dopo la maggior parte di sottufficiali e truppa vengono lasciati andare mentre altri, insieme a Visconti e agli ufficiali, armati, sono condotti a Milano. Giunti alle porte del capoluogo lombardo, i non graduati vengono fatti allontanare e per il comandante e gli ufficiali si apre il portone della caserma del Savoia Cavalleria (in via Vincenzo Monti), che in quei giorni era la sede delle brigate partigiane garibaldine “Redi” e “Rocco”. Verso le 13 un partigiano si affaccia sulla soglia e chiama per nome il maggiore Visconti ordinandogli di seguirlo. Il suo aiutante maggiore Valerio Stefanini si avvicina per accompagnarlo. “Sarà il solito interrogatorio” dice Visconti, ancora convinto della validità del patto sottoscritto. Così non è: poco dopo, infatti, si odono alcune raffiche di mitra. Secondo quanto riferito da un testimone, il comandante del 1° Gruppo Caccia e il suo fedele aiutante di campo sono stati colpiti alle spalle mentre stavano attraversando il cortile della caserma. Un’esecuzione in piena regola, compiuta nonostante il patto di resa sottoscritto poche ore prima. Resosi forse conto di quel che stava accadendo, Stefanini tenta di proteggere Visconti facendogli scudo con il suo corpo. Inutilmente: la prima raffica lo colpisce in pieno ed il giovane e altruista aiutante maggiore muore sul colpo. Le raffiche successive raggiungono poi il Maggiore, che ha appena il tempo di voltarsi e gridare: “Mirate al petto, vigliacchi!”. Poi cade ferito gravemente e viene finito con due colpi di pistola alla nuca. I due ufficiali oggi riposano nel Campo X del cimitero di Musocco, fianco a fianco per l’eternità.

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