Hanno fucilato un poeta

Hanno fucilato un poeta

06/02/2022 Off Di   Gianluca Kamal   In   Correva l'anno   

Sono le 9,38 del 6 febbraio 1945. Dopo essere stato prelevato dal carcere di Fresnes, dove ha trascorso gli ultimi tre mesi della sua parabola, viene condotto al forte di Montrouge. Echeggia la raffica. Un ufficiale corre nel mattino brumoso per assestare il colpo di grazia. E’ così che muore un giovane poeta di Francia, accusato di “collaborazione” col nemico invasore, mentre l’Europa vive la sua agonia. Che cosa possiamo sapere, noi uomini alle porte di un futuro che prefigura la nostra stessa cancellazione come esseri biologici, di questo scrittore del “romanticismo fascista” francese ritenuto colpevole con i suoi articoli, secondo le parole usate dal pubblico accusatore, “di aver fatto più male alla Resistenza di un battaglione della Wehrmacht”? Che cosa ci trasmettono ancor oggi gli scritti di quest’uomo, fucilato a 36 anni, macchiatosi della colpa di aver amato la propria patria e di aver sognato per essa un destino diverso da quello che da una guerra persa sarebbe poi scaturito? Cosa ci rimane di Robert Brasillach? Un messaggio lanciato in una bottiglia verso l’avvenire, costituisce l’essenza e il significato del passaggio sulla terra degli uomini, più facilmente traducibile nel senso e nel valore stessi del “tramandare” (dal latino “trāděre”, dare in eredità). Coloro i quali colgono quest’essenza, lasciando tracce di sé come incise su pietra alla vista dei posteri, si può dire abbiano autenticamente vissuto. Proprio nell’imminenza di un processo di cui già immagina l’esito, il prigioniero di Fresnes sente il bisogno di esprimere a sé stesso e ai giovani europei a pochi mesi dalla capitolazione finale un ultimo atto di fede, scribacchiato con un pennino infilato nel cannello di pipa, in quanto aveva creduto e che in quegli oscuri giorni lo stava trascinando sul banco degli imputati sebbene avesse sempre e solo combattuto una battaglia culturale.

Leggendo quella celebre “Lettera ad un soldato della classe ‘40” i brividi scorrono al pensiero di un uomo avviato all’estremo destino che ancora rimembra quel “meraviglioso splendore del Fascismo universale della mia giovinezza, il Fascismo, nostro male del secolo”. Ma non il fascismo movimento politico fattosi Stato creato da Mussolini, reinterpretato poi a varie latitudini d’Europa; non l’architrave giuridica, le degenerazioni razziali o le ridicole bellicosità istrioniche, ma quel Fascismo-idea, quel Fascismo-simbolo così come elaborato da larga parte di quella generazione intellettuale fra le due guerre che vi aderì. Una “poesia”, “la poesia stessa del XX secolo”, capace di dar vita a mobilitazioni oceaniche e di ridestare nella gioventù europea sentimenti di amicizia e di fiducia in un destino immaginato come comune.

Il coraggio di credere, l’apertura ai miti, il senso della coerenza, l’eroismo disinteressato, la forza dell’autocritica, il realismo spietato, la dirittura d’animo, in ultimo la necessità di “interpretare la propria parte nella commedia, perché l’essenziale è comportarsi bene, sino in fondo”, come scrive lui stesso, moniti che affiorano come scogli nel bel mezzo del mar Nulla dove da tempo navighiamo senza bussola. E benché persistano clima ancora caotico e terreno ben poco fertile per le analisi spassionate e le revisioni critiche di autori e periodi scomodi ma comunque ineludibili, a restare nel tempo è quanto interiorizzate e fatte proprie risultino essere certe qualità ritenute politicamente scorrette. E qualora bastare non dovessero parole vergate da un carcere, o durante una vita consumata in un lampo, a significare l’altezza morale di un uomo, vi è sempre l’esempio concreto cui rifarsi per una più esatta comprensione della figura. Come quando al pronunciamento della sentenza di morte da parte della corte, benché ad essere giudicate e condannate non furono un’appartenenza partitica o dei crimini di guerra ma una pura e semplice attività giornalistica, al grido “Vergogna!” di uno spettatore, la pronta replica di Brasillach fu: “No, è un onore”. E poi, pallidissimo dinanzi al plotone d’esecuzione ma di attitudine fiera, ad attendere la scarica del piombo. Così muore un poeta. Così, oggi come ieri, può morire la libertà.