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Il Residuo di una civiltà

Il conio della definizione di “uomo residuo”, efficace nel fissare le linee essenziali dell’epoca dentro la quale trascorriamo inermi (ma non inerti) le nostre impalpabili vite, varrebbe da sola la ragione per la quale dedicarsi alla lettura dell’ultimo volume (edito da Il Cerchio, con la prefazione di Francesco Borgonovo) di Valerio Savioli, acuto sismologo della contemporaneità prima ancora che saggista e promotore di iniziative culturali di vario genere. Un fenomeno complesso necessita, del resto, di analisi complesse, in un tempo che con il pensiero, o la possibilità stessa di coltivarne uno, pare aver già fatto i conti rasandone al suolo ragioni e utilità. Se da una parte le espressioni “Politicamente Corretto” e “Cancel Culture”, che insieme a “Morte dell’Europa” completano il titolo in copertina, sono entrati a far parte ormai stabilmente del vocabolario quotidiano, molto però restava da fare in termini di reale e autentica comprensione del significato racchiuso in questi fenomeni e della loro incidenza politica e culturale nel discorso pubblico odierno.

Savioli, attingendo a una svariata mole di fonti bibliografiche e di preziose testimonianze dirette di “esperti in materia” (in particolare per quanto concerne tecnologie digitali e intelligenze artificiali), riesce a fare di più: riconnette P.C. e C.C. (così appaiono abbreviati nel testo) alla storia, tratteggiandone i passaggi che hanno determinato nel tempo formazione e sviluppo, analizzandone cambiamenti, perfezionamenti e finalità nel lungo periodo, osservandone infine il punto d’arrivo ossia l’Uomo Residuo appunto, il più grande e inedito risultato antropologico di tutto un processo di svuotamento spirituale e di annicchilimento sociale partito da lontano.

Relativismo culturale e pensiero debole, infatti, hanno rappresentato per qualche decennio i principali strumenti di egemonia di un progressismo ancora innervato di un qualche avanzo di socialismo liberale, la cui parabola comincia con un mappamondo preso a colpi di maglio da George Bernard Shaw e Sidney Webb raffigurati nella Fabian Window, prosegue con i fratelli Rosselli e il loro progetto di laburismo italiano e giunge fino a noi con Speranza, Veltroni, Calenda e Mario Draghi. Una forma di egemonia, tentacolare e ben organizzata, che, per intenderci, ebbe in Joseph Ratzinger, prima da Cardinale e poi da Pontefice, il solo vero agente di contrasto in un mondo già inebetito dinanzi all’avanzata del Moloch globalista. Oggi, però, è in atto un salto di qualità rispetto a quanto appena descritto. Nelle pretese, prima ancora che nei contenuti. E’ proprio servendosi di Politicamente Corretto, Cancel Culture e movimento “Woke” che il progressismo tenta l’ultimo fatale assalto al mondo: “rendere l’uomo solo innescando scontri tra generi, popoli e generazioni che portino alla distruzione di ogni corpo intermedio tra l’individuo e il Potere, privandolo del diritto alla dignità di contestare ciò”, come riassume Savioli nell’Introduzione. L’adesione incondizionata ai dogmi del nuovo progressismo radicale, dalle evidenti radici americane, costituisce l’unica possibilità esistenziale per l’uomo contemporaneo, letteralmente svuotato da tutti quegli elementi che ne fondano l’identità: cultura, religione, patria. Ne viene messa in dubbio persino l’identità sessuale, puntando a confonderne i tratti distintivi e annientandoli entro un unico prototipo fluido e devirilizzato.

Quale tipo umano immaginare dunque per il prossimo futuro? Forse nemmeno più un uomo, ma un residuato di quella che ne fu un tempo anima e corporeità. Il neo-progressismo radicale ha fatto strada, alcuni dogmi inviolabili (Savioli ne individua cinque) hanno caratterizzato il suo sviluppo e i suoi traguardi: la liberazione sessuale che dal femminismo si è tramutata in una festa LGBTQ+, il credo nella scienza, l’ambientalismo, multiculturalismo e immigrazionismo selvaggi, il geopoliticamente corretto e l’imposizione di una sola narrazione (che nel caso italiano assume i contorni di una farsa dove la realtà supera ogni più bizzarra fantasia) intrisa di feroce bellicismo. Non c’è ritorno nè alternativa rispetto a questo tipo di società e di umanità. TINA (there is not alternative), in un acronimo, poichè il sistema è talmente liberale da non tollerare alcuna alternativa.

Quello che così dettagliatamente Savioli descrive in poco più di 250 fitte pagine, non è quindi un “Uomo Nuovo”, caro alle ideologie e ai messianismi di ogni tempo e di ogni luogo, ma un Uomo “che dopo essere uscito dalla fabbrica è entrato nel laboratorio”, in quanto prodotto dalla rivoluzione industriale e sperimentato dalla rivoluzione digitale. Semplice “ingranaggio nella fabbrica, fluidificante nella società liquida”, non è che un surrogato, vivente in un “luogo non luogo” dell’istante presente, avulso da ogni progettualità che oltrepassi la mera contingenza del momento, guidato da algoritmi che gli consigliano dove andare, cosa fare, cosa e chi ascoltare.

Ma prima e più di ogni altra cosa, l’Uomo Residuo è “solo”. Fà l’amore con sè stesso, poichè è immerso in una virtualità dentro la quale si consuma il suo dramma esistenziale. E in questa imposta pervasività mascherata da comoda opportunità (così lui davvero crede) vi è lo specchio della sua stessa residualità. Ma per tornare alla domanda che è essa stessa la risposta: esisterà l’Uomo nel prossimo futuro? Quale il suo destino? Quanto raccontatoci da Savioli non ci offre esattamente l’assist per conclusioni velate d’ottimismo, bisogna dirlo. Scorrendo in leggerezza rigo dopo rigo non si scorgono viatici, non s’intravedono vie di salvezza. A mancarci è la luce del giorno in questa notte che sembra interminabile. C’è un unico modo per cercare di non soccombere dinanzi alla marea montante: “dare battaglia, sia pure disperata” (Junger), battendosi per continuare a vedere il cielo. C’è un unico modo per soccombere dinanzi alla marea montante: arrendersi, come da (poco) rispettabilissimo Uomo Residuo.