L’ora della giustizia pandemica

L’ora della giustizia pandemica

18/03/2023 Off Di   Gianluca Kamal   In   Officina   

Temevamo potesse arrivare. Dopo una vicenda dall’acre sapore di spartiacque tra un’epoca perita e un’altra nascente quale quella della pandemia da Covid-19, nel corso della quale a parlare, a esternare, a dichiarare, a scrivere, a stabilire, è stata una parola sola di un sistema solo, doveva giungere il momento del collettivo rinnegamento. Con le consuete acrobazie etiche di cui sono capaci entro pochi mesi non si troverà più neanche un italiano di tutti coloro che si sono acriticamente sottomessi alle misure pandemiche emanate dai governi Conte e Draghi. Questa è del resto la stessa Italia mussoliniana che dal tramonto all’alba divenne antifascista, che ha trasformato i comunisti in liberali, e in cui già da anni sembrano svaniti nel nulla gli elettori di Berlusconi o Prodi.  

Alle prime “rivelazioni” delle chat tra Speranza e Brusaferro, presidente dell’ISS, nelle quali, con stile e linguaggio tipici di adolescenti alle prese con lo studio di metodi per far sembrare “a sorpresa” una festa non a sorpresa, subito la barca ha cominciato pericolosamente a incrinarsi picchiando contro i primi scogli che hanno provocato le prime rotture nello scafo e la conseguente fuga dei primi ratti. Quelli più lesti. Le “nuove” risultanze delle inchieste giornalistiche e giudiziarie straniere e italiane fanno emergere il dato che già sarebbe dovuto apparire solare alla vista dei camion di Bergamo (marzo 2020): l’uso della paura come tecnica di governo (metus instrumentum regni). Strumentalizzando, aizzando, provocando il terrore nei cittadini, quasi tutti i governi occidentali hanno di fatto celebrato il passaggio dalla configurazione tipica dello Stato di diritto all’assetto dello Stato totalitario. Rispetto a ciò che affermava Jeremy Bentham, padre del Panopticon, secondo cui “la politica è come la medicina: il suo unico compito è la scelta dei mali”, oggi vale quasi l’esatto inverso: la medicina è divenuta come la politica, con il solo compito della scelta del male da sopportare.

E intanto i ratti, quelli più lesti ma ora anche i più fiacchi, continuano la loro fuga affannosa dal relitto, una volta nave da crociera con la quale solcare il Paradiso della danarosa notorietà, che affonda. Per un Bassetti, noto frequentatore di sé stesso, che ammette nulli benefici nell’utilizzo di mascherine per ridurre la trasmissione del virus, accorre un tremolante Burioni secondo cui a legittimare “qualunque affermazione scientifica sono i dati disponibili”. E se i dati sono incompleti o falsi? E’ colpa “di chi ha omesso o falsificato i dati, non di chi ha fatto l’affermazione”. Questa dei “dati falsi” (e che “noi non sapevamo”) è soltanto una delle direttrici principali attraverso cui pare comincia a delinearsi la linea difensiva generale. L’altra è l’aver agito in buona fede in una tempesta. Ragionevolmente ce ne aspettiamo una terza: “abbiamo soltanto eseguito gli ordini”. Le stesse direttrici adottate dalla gran parte degli imputati al processo di Norimberga. Solo che qui, nel presente distorto che ci è toccato di vivere, i processi o le inchieste o le commissioni d’inchiesta si celebrano per fornire parvenza giuridica ad un qualcosa di già pianificato e deciso, ovvero l’assoluzione di coloro i quali sarebbero risultati carne acida persino se lanciata in pasto a un branco di cani randagi a digiuno da settimane. Troppo il male subito. Troppo le ingiustizie patite. Troppi la cattiveria e l’odio infusi deliberatamente nella popolazione al fine di combattere un nemico creato ad arte.

Oggi, dicevamo, pare essersi avviata la stagione del rinsavimento di massa. La fase seguente alla cessazione degli effetti derivanti dalla gigantesca operazione di ipnosi di massa messa in atto da un sistema compatto di interessi politici, finanziari, mediatici. Dovremmo esultare, gioire per i molteplici attestati di “preveggenza” attribuitici da parenti, amici, colleghi che, accesi di meraviglia, si chiedono delle ragioni che già da principio ci portarono a non credere, non obbedire, non soccombere rispetto a scelte lesive della dignità umana. E ci applaudono, si congratulano, confessano di non essere stati all’altezza di una prova tanto suprema quale quella della pandemia, deliberatamente progettata per annientare lo spirito autentico dell’uomo.

Eccola l’ora più dura. L’ora in cui tutto viene vomitato fuori, e tutto sembra darci di nuovo ragione. A noi che avevamo visto e compreso per primi. Anche se ciò non basterà per risvegliare milioni di coscienze sopite dalla grande cappa del silenzio complice e dall’intorpidimento neuronale. Menzogne, incompetenza, ideologia, odio sociale e interessi di varia natura, stagliatisi tutti sullo sfondo cupo di una generalizzata, radicale e inestirpabile ignoranza di massa (in primis, tra i “dotti”), sarebbero stati facilmente smascherati in un contesto dominato dal diritto della ragione e del giudizio secondo verità. Ma quale terreno più fertile di un’umanità liberatasi dal peso insostenibile di un Dio Padre creatore e regolatore della vita in tutti i suoi aspetti, per generare negli uomini nuove credenze, nuovi idoli ai quali ciecamente sottomettersi? In tanti ora ritornano, molti a testa bassa, altrettanti rinnegando la propria passata appartenenza al “club dei Giusti” fatta di sberleffi e insulti a chi non ha osservato le norme “per il bene di tutti”. La bronzea faccia di chi poco tempo prima inveiva a reti unificate, cinguettava schizzi d’odio, firmava i fogli d’ordine emanati dai quartieri generali del “mondo nuovo”  hanno ripiegato le loro insegne di guerra e con la stessa protervia ricercano una nuova verginità. E’ il solito finale da ridere, senza vincitori né vinti, di questa nostra secolare, immensa, tragica barzelletta italiana.