L’ultima fase della “libertà” liberale

L’ultima fase della “libertà” liberale

02/02/2022 Off Di   Gianluca Kamal   In   Libri e libri   

Poco importa che si tratti di nemmeno un centinaio scarno di pagine consumabili nell’arco di tempo che passa a pranzo tra la prima forchettata di maccheroni e l’ultimo sorso di caffè. Poco importa che il manoscritto sia stato ultimato in pochissimi giorni, e quindi suscettibile di limiti dal punto di vista bibliografico, in primis la rilettura dell’opera di autori senz’altro preziosi per una migliore precisazione di alcune prospettive di pensiero. Poco importa, insomma, che alla chiarezza espositiva siano state sacrificati i comunque sacrosanti diritti dell’approfondimento e del ventaglio interpretativo delle tesi proposte. Del resto, è lo stesso autore, il francese Guillaume Travers, a chiedere anticipata venia per la “frettolosità” con la quale ha dato alle stampe questo agilissimo pamphlet dal titolo: “La società della sorveglianza – fase ultima del liberalismo”, edito in Italia da quei cattivoni jüngheriani di Passaggio al Bosco. La lettura più superficiale ci fa anch’essa comprendere come questo lucido saggio costituisca un ghiotto invito a lavori futuri per affinare linee di riflessione qui solo abbozzate ma non affatto prive di sorprendente originalità (perlomeno nella misura in cui esse siano state sin qui, e in questi termini, affrontate).

L’urgenza della questione è, del resto, ormai accettata dai più e non più rinviabile: l’approdo ultimo della società liberale dinanzi al perdurare della crisi pandemica da Covid-19, in mezzo alla quale si situa l’introduzione del “pass sanitario” quale nuova frontiera dell’idea di libertà venutasi ad instaurare da circa un biennio. Come possono convivere parole-mantra come “liberalismo”, “diritti fondamentali”, “società aperta” con la contemporanea instaurazione di un sistema di sorveglianza generalizzato delle popolazioni, possibile mediante chirurgico ausilio di modernissimi supporti tecnologici? Una prima spiegazione, secondo Travers, “è che stiamo assistendo ad un ribaltamento di 180 gradi dello spirito dei tempi. L’era del liberalismo trionfante si concluderebbe, in pratica, con un’ammissione dei propri fallimenti: i governi europei e degli Stati Uniti sarebbero costretti dagli eventi, e contrariamente agli ideali che hanno sempre proclamato, a riconoscere la necessità di forme molto più energiche di controllo sociale”. Questo, ad una prima analisi, farebbe pensare ad un riflusso spontaneo delle restrizioni liberticide imposte negli ultimi mesi, ma eccolo lo snodo cruciale della visione che da sola conferisce senso persino ad altri volumi sul tema: è lo stesso progetto liberale di “società aperta” a prevedere come sbocco naturale una società basata sulla sorveglianza, “la conclusione, logica e necessaria, dello stesso liberalismo”.

A trionfare, proprio con il liberalismo, non è una “libertà” assoluta. Non è la libertà delle poleis greche, rigorosamente legata allo status politico e alla partecipazione attiva al potere. Non sono le libertà medievali (si badi al plurale), le quali trovano sempre origine in un radicamento particolare (le corporazioni, per esempio), e comunque territorializzate, concrete, per nulla astratte o universali. La libertà dei liberali, al contrario, non riconoscendo l’esistenza dei radicamenti politici, diviene qualcosa di essenzialmente giuridico, ossia dei “diritti” che si suppone debbano valere indipendentemente da qualsiasi appartenenza, cioè in maniera universale. Questa moderna illusione di una libertà quasi infinita è dovuta proprio alla natura astratta delle libertà proclamate. Ma in quali condizioni pratiche può essere attuata questa libertà senza limiti? “Quanto più le libertà proclamate sono ampie”, ci ricorda Travers, “tanto più esse necessitano, per trovare una traduzione concreta, di un dispositivo giuridico, di controlli formali e di una sovrastruttura procedurale di sorveglianza.” Questo e non altri è il volto nascosto del liberalismo al quale dedicare i futuri sforzi di comprensione e analisi. Resta da capire quanto i grandi campioni del pensiero liberale, gli Smith, gli Hayek, i Friedman, avessero consapevolezza dei possibili sviluppi teorico-pratici della loro imponente speculazione. Forse oggi ne sarebbero inorriditi, e preferirebbero bruciare vivi sulla pira pur di non immaginarsi un loro nanico epigono di Forza Italia madido di sudore mentre annuncia eccitato l’introduzione di un pass obbligatorio per poter lavorare come se stesse descrivendo i momenti culminanti del suo primo amplesso. Ma insomma, di fronte ad un’altra vertiginosa accelerazione dell’intensificarsi delle forme di controllo sociale, dalla tracciabilità dei pagamenti alla riformattazione genica degli individui, che cosa rimane da fare? “Recuperare una concezione propriamente politica della libertà, comprendendone i fondamenti teorici e agendo nella pratica per la loro salvaguardia”, ci risponde e ci incita Guillaume Travers. E noi con lui, a sperare in un non lontano risveglio di coscienza da parte di popoli dai comuni destini , oggi dormienti.