Monaldo, il Leopardi dimenticato / parte III

Monaldo, il Leopardi dimenticato / parte III

16/07/2022 Off Di   Redazione   In   Officina   

Monaldo Leopardi e il pensiero controrivoluzionario

Già nel 1800 il conte recanatese aveva redatto l’opera Le cose come sono, ferrea difesa dell’alleanza fra Trono e Altare, rimasta inedita, ma fu dopo i fallimenti dei moti del 1831 che impugnò una volta per tutte la penna per metterla al servizio della causa controrivoluzionaria.
Uscirono, così, i Dialoghetti sulle materie correnti nell’anno 1831, opera che diventò un vero e proprio best seller e causò non poco imbarazzo nel figlio Giacomo, rispetto alle cui Operette morali lo scritto paterno suonava quasi come un controcanto. Monaldo fece la scelta originale di non scrivere un saggio, ma una parodia dei classici dialoghi filosofici, prendendo in giro i philosophes del secolo precedente. Il saggio era scritto con uno stile brillante che facilitò il suo successo.
Il Nostro mette alla berlina le idee illuministe e rivoluzionarie, ma criticava anche la Restaurazione in quanto basata sulla logica del compromesso e non della giustizia. Se la prendeva con Luigi XVIII per avere emanato una costituzione scritta (in questo avvicinandosi al Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche e delle altre istituzioni umane di de Maistre) e con il popolo francese che aveva detronizzato il reazionario Carlo X per il liberale Luigi Filippo. Mostrava un forte sentimento antifrancese, addirittura proponendo uno smembramento della Francia (in questo discostandosi dal filo-francese de Maistre), con la restituzione di Avignone ai papi.
Al successo dei Dialoghetti seguirono numerosi altri pamphlet, tra cui non si possono non citare le Prediche recitate al popolo liberale da don Muso Duro, del paese della Verità e nella contrada della Poca Pazienza (1832) e il Catechismo filosofico per uso delle scuole inferiori (1832).
Non pago, fondò un quindicinale, La Voce della ragione, dall’eloquente sottotitolo Proeliare bella Deo, di cui fu direttore e quasi unico redattore. Dalle pagine del giornale Monaldo Leopardi condusse periodicamente le sua battaglia contro le idee rivoluzionarie, con il consueto stile caustico e accattivante, pubblicando, inoltre, traduzioni in italiano di testi controrivoluzionari.
Ancora una volta il destino lo accomunò a de Maistre. Come la pubblicazione, da parte di quest’ultimo, del saggio Du Pape, nel 1819, era stata accolta con imbarazzo proprio dalla Santa Sede, così la stessa Santa Sede non gradì l’attività pubblicistica di Monaldo Leopardi, di cui censurò alcune opere oltre a imporre la chiusura del giornale nel 1835.
Il Nostro proseguì la battaglia controrivoluzionaria dalle colonne del periodico svizzero di lingua italiana Il Cattolico, per poi ritirarsi nel 1838.
La morte, nel 1837, del figlio, che, a dispetto di quanto normalmente si crede, amava moltissimo, lo addolorò profondamente.
Morì dieci anni dopo, nel 1847.

La lezione del conte
La figura di Monaldo Leopardi resta attuale ancora oggi. E’ infatti dimostrazione di come l’adesione a principi eterni e la fedeltà all’ordine politico e sociale che ne deriva non si traduce necessariamente in ottusa reazione. Al contrario, l’ordine tanto può mantenersi e vivere quanto più fa proprie le esigenze dello sviluppo in campo economico e sociale, in tal modo evitando il diffondersi di sentimenti sovversivi. Fu l’intuizione di un grande avversario della Rivoluzione, quale Monaldo Leopardi, che però fu trattato con diffidenza ed emarginato proprio da quell’ordine di cui fu strenuo paladino. Questa lezione è il principale lascito del Nostro anche alle destre contemporanee.