Non leggo, non scrivo, ma protesto

Non leggo, non scrivo, ma protesto

13/02/2022 Off Di   Maria Giovanna Ruffoni   In   Società   

Nella confusione imperante del sistema scolastico italiano, l’unica certezza che rimane ben salda è la presenza della maturità al termine del ciclo di studio per la secondaria di secondo grado. La maturità è un qualcosa che dovrebbe segnare non solo l’età anagrafica degli studenti 18enni o 19enni, o forse di più per chi si è preso delle comodità, ma è di fatto una tappa fondamentale nel percorso verso l’età adulta. I diversi cambiamenti organizzativi in tempo pandemico per lo svolgimento della maturità sono stati conseguenza diretta di un susseguirsi di norme più o meno comprensibili, più o meno fattibili per garantire agli studenti di essere valutati al termine del cammino. Gli esami di maturità con tutto quell’alone di mistero misto ad ansia, canzonati e sovrastimati, rimangono non un macigno burocratico, ma una prova di vita: se superi l’esame di maturità teoricamente sei pronto per un nuovo percorso o di studio o lavorativo, esci dalla comfort zone che dall’età dei 3 anni ti protegge, ti educa volente o nolente. Non ti prepara alla vita vera, ma ti fa capire che è ora di muoversi da solo.

È sorprendente che in questo tempo confuso la maturità sia stata sempre definita, più o meno in ritardo, ma non altrettanto sono le confuse proteste dei baldi giovani, concentrati e preparatissimi su una briciola, un niente rispetto a quello per cui potrebbero alzare la voce. Gli esami di maturità inizieranno il 22 giugno, con una prima prova e una seconda prova scritte in presenza, a finire l’orale. La protesta iniziata il 4 febbraio, si mobilita letteralmente perché l’esame così strutturato diventerebbe un patibolo per gli studenti che hanno vissuto anni scolastici a singhiozzo. Sì all’esame senza scritti, solo orale.

Qui la domanda sorge spontanea: perché, non sapete più scrivere? Improvvisamente si è ritornati a livelli di analfabetismo dilagante? Ad una lettura più approfondita da parte della mobilitazione studentesca si richiede che quell’orale finale diventi l’unica prova pensata interamente per far emergere la comprensione, l’inclinazione a certe materie per ogni studente, un percorso ad hoc creato dallo stesso alunno su sua libera scelta e lasciata alla commissione docente come un suo giudizio finale. In realtà, in quella protesta per cui si sono perse giornate di scuola, ben consci di questo, si sarebbe potuto benissimo parlare d’altro, alzando la voce per questioni serie, che rendono il sistema scuola italiano lacunoso, ingabbiato nella burocrazia e nel digitale, problematico non per gli insegnamenti impartiti, ma per gli insegnanti, per le famiglie, per gli strumenti inadeguati e mancanti.

Al coro unanime “no agli esami scritti”, si sarebbe potuto sentire NO ad una scuola senza riscaldamento o carta igienica. NO ad una scuola senza connessione Internet con bambini chiusi in casa perché positivi al Covid, magari da settimane. NO ad una scuola in cui i bambini con disturbi specifici di apprendimento non hanno sostegni fissi per l’interno anno o per il ciclo di istruzione, rimbalzati tra supplenti spesso non specializzati. NO ad una scuola che insegna sui dettami delle competenze europee, senza dare spazio alla territorialità e all’esigenza di ogni scuola di ogni regione. NO ad una scuola in cui si insegna “educazione all’affettività” ai bambini di 6 anni.

A quei baldi volenterosi rivoluzionari eleviamo un coro: tornate a studiare e poi ne parliamo, andate a leggervi la percentuale di tasso di abbandono scolastico che affligge le nostre scuole, con alunni che rimangono chiusi in casa senza far nulla, perché semplicemente “lo studio non fa per lui” a detta dei genitori. Nel momento storico in cui tutto corre veloce, bisogna fermarsi, riflettere e capire che fa paura quando un giovane protesta per chiedere di non scrivere. Nella scrittura, e nella stessa abilità dello scrivere, ritroviamo i semi di una vera libertà. Quella di esprimersi. Quella di pensare.