Non vi è comunità senza solidarismo

Non vi è comunità senza solidarismo

06/07/2021 Off Di   Anchise   In   Officina   

Ènecessario mettersi d’accordo sui termini, altrimenti si finisce per usare lo stesso lessico per indicare cose diverse. E l’uomo non ha inventato il linguaggio per questo, semmai per il motivo opposto. È utile inoltre comprendere che persone estremamente diverse possano abbracciare la stessa parola. E forse capire che a dividere su alcuni temi è solamente l’ottusità di una semplicistica narrativa. Oltre alla naturale tendenza alla polarizzazione in schieramenti politici, vi sono poi coloro che, in nome della propria presunta superiorità morale ma in realtà al fine di ammantarsi con l’esclusiva proprietà dei sentimenti e delle opere, sanciscono la falsità e pretestuosità dei sentimenti degli altri. Io sono buono, tu sei diverso da me ergo tu sei cattivo, e dunque quando parliamo ad esempio di solidarismo, il tuo è diverso dal mio, indi per cui sei tu che necessariamente stai mentendo e persegui invece un secondo fine.

I veri limiti della cosiddetta “chiusura mentale” stanno dentro quelle persone che non vogliono o possono capire che forse il mondo esterno esiste a prescindere dalla propria narrazione o schema teorico.

Questo mondo evolve, vive, prosegue, e costruisce da sè una forma per i propri sogni. Senza attendere da nessuno patenti, benedizioni o liceità; i nostri princìpi ce li siamo già scelti, sarà il tempo a dirci se abbiamo tracciato una strada buona o cattiva.

L’uomo si riunisce in comunità sociali: se ne accorse già Aristotele ai suoi tempi che furono, dunque qualcosa che nel frattempo dovremmo avere imparato. Queste comunità prosperano quando affondano le radici su un medesimo terreno valoriale. Se il terreno poi è solido e coeso, è possibile edificarvi sopra delle costruzioni, come le strutture complesse che caratterizzano le grandi civiltà. Quali costruzioni?

  • delle case per vivere e scaldarsi, certo;
  • delle fabbriche per produrre quello che ci aiuta a progredire materialmente;
  • dei templi, per ascoltare il suono della Creazione;
  • delle mura che traccino il limes o confine, reale e/o metaforico, che tutela la comunità;
  • dei ponti senza dubbio, perché la comunità non è un sistema chiuso e isolato dal mondo.

Però, perchè questa metafora della Civitas Dei possa reggere, dev’essere ben presente quel terreno che abbiamo presupposto, humus in cui la sostanza nutritiva della vita venga scambiata. Noi questo ruolo di trasfusione e supporto lo chiamiamo “solidarismo”; potremmo chiamarlo anche “economia” (da oikos sommato a nomos) se questo termine oramai non sottendesse anche il profitto come parte imprescindibile. Ma se dimentichiamo per un attimo questa accezione moderna, ecco che ci viene (almeno per quanto ci riguarda) naturale ed istintivo essere convinti che aiutare i membri della comunità in difficoltà sia una delle basilari leggi (nomos) che regolino i beni della casa (oikos).

Solidarismo è la consapevolezza che la disgrazia e la necessità possano abbattersi su chiunque; è un patto, talvolta esplicito talaltra sottinteso, per il quale alla fine "ne verremo fuori"; è una mano tesa che però invita a rialzarsi.

Piacerebbe dunque confrontarsi con le metafore usate da altri per spiegare il solidarismo secondo loro, per capire se davvero con una parola si riesca a tenere in piedi la condivisione di un concetto.

E infine, qualora non ci riuscissimo a stabilire una volta per tutte e per tutti il senso di questa parola, pazienza.
La nostra ragione e cultura ci indicano quale crediamo sia il modo migliore per innaffiare questa terra, per aiutare le varie cellule in difficoltà: le famiglie, i soggetti socialmente deboli ed emarginati, chi vuole rialzarsi in piedi, chi ha perso tutto, a volte anche la speranza.

Troviamo il senso di rinascita nello spirito che non si lascia abbattere dai fallimenti, così come le radici trovano sempre un percorso tra le asperità. E così proseguiremo.