Solženicyn, un profeta del XXI secolo / parte II

Solženicyn, un profeta del XXI secolo / parte II

04/08/2022 Off Di   Redazione   In   Officina   

L’ESILIO: PER LA RUSSIA, CONTRO IL COMUNISMO

Arrestato il 12 febbraio 1974 dalle autorità sovietiche, prima dell’esilio ventennale dalla sua Patria, scriverà un vero e proprio appello al suo popolo dal titolo significativo Vivere senza menzogna. Un testo che costituisce un vero e proprio tentativo di risvegliare le coscienze non partendo da impensabili progetti politici, ma da una rivoluzione spirituale alla quale dovrebbero anelare tutti i dissidenti di qualunque totalitarismo, compreso quello neoliberale odierno (che Solzenicyn non mancherà di denunciare nel discorso di Harvard):

“Ed è proprio qui che si trova la chiave della nostra liberazione, una chiave che abbiamo trascurato e che pure è tanto semplice e accessibile: IL RIFIUTO DI PARTECIPARE PERSONALMENTE ALLA MENZOGNA. Anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto siamo inflessibili: che non domini PER OPERA MIA! Non siamo chiamati a scendere in piazza, non siamo maturi per proclamare a gran voce la verità, per gridare ciò che pensiamo. Ma almeno rifiutiamoci di dire ciò che non pensiamo. La nostra via è: NON SOSTENERE IN NESSUN CASO CONSAPEVOLMENTE LA MENZOGNA. Ognuno di noi dunque, superando la pusillanimità, faccia la propria scelta: o rimanere servo cosciente della menzogna o convincersi che è venuto il momento di scuotersi, di diventare una persona onesta, degna del rispetto tanto dei figli quanto dei contemporanei. Certo, sulle prime sarà duro. Qualcuno si vedrà privato del lavoro. Per i giovani che vorranno vivere secondo la verità, all’inizio l’esistenza si farà alquanto complicata: persino le lezioni che si apprendono a scuola sono infatti zeppe di menzogne, occorre scegliere. (…) Dalla parte della verità o dalla parte della menzogna: dalla parte dell’indipendenza spirituale o dalla parte della servitù dell’anima”

Esiliato dall’URSS, riparò prima in Svizzera e successivamente negli Stati Uniti, a Vermont. In piena Guerra Fredda seppure assunto a simbolo della dissidenza anticomunista, Solzenicyn non sposò la campagna antirussa che si stava sviluppando in Occidente. Nel suo intervento I pericoli che incombono sull’Occidente a causa dell’ignoranza della Russia (1980), egli attacca l’intellighenzia progressista, la quale attribuiva lo sviluppo tragico del totalitarismo sovietico non all’ideologia comunista ma alla
coscienza nazionale russa.

I MALI DELL’OCCIDENTE

“Il declino del coraggio è nell’Occidente d’oggi forse ciò che più colpisce uno sguardo straniero. Se mi chiedessero: vorrebbe proporre al suo paese, come modello, l’Occidente così com’è oggi? Dovrei rispondere con franchezza: no. Data la ricchezza di crescita spirituale che in questo scolo il nostro paese ha acquistato nella sofferenza, il sistema occidentale, nel suo stato di esaurimento spirituale, non presenta per noi alcuna attrattiva”. Nel celebre discorso di Harvard Un mondo in frantumi del 1978, il dissidente russo evidenziava: “Nessun armamento, per vasto e potente che sia, varrà mai ad aiutare l’Occidente finché questi non avrà riacquistato la sua volontà di difendersi. Per difendersi bisogna anche essere disposti a morire, e questa disponibilità è piuttosto rara in una società cresciuta nel benessere materiale”. Ma Solzenicyn si sforzò nel suo discorso all’Università americana di individuare le radici di questa malattia: “la catastrofe della coscienza umanistica areligiosa”. Nel ripercorrere questo processo storico, che partiva dal Rinascimento e culminato in un punto di non ritorno nell’Illuminismo, esperienza “che ha arricchito la nostra esperienza, ma ci ha fatto perdere quel Tutto, quel Più alto che un tempo costituiva un limite alle nostre passioni e alla nostra irresponsabilità”. “La constatazione – continuava – di tratti comuni nella concezione del mondo e del modo di vivere dell’Occidente d’oggi e in quelli dell’Oriente d’oggi, è la logica di sviluppo del materialismo”.

RUSSOFOBIA, NATO E UCRAINA: LA PROFEZIA

“La vera sventura non sta nel disfacimento dell’URSS. Era inevitabile. L’enorme sventura è che la sua dissoluzione è automaticamente avvenuta secondo le frontiere erroneamente fissate da Lenin, sottraendo alla Russia intere province, province russe. In pochi giorni abbiamo perso venticinque milioni di russi”. Solzenicyn aveva compreso che la questione dell’Ucraina e dei territori russi del Donbass e della Crimea avrebbe avuto ripercussioni nella futura coesistenza dei popoli russo e ucraino, al punto da rivolgere un vero e proprio appello agli Ucraini: “Come potremmo mai non condividere le sofferenze mortali subite dall’Ucraina in epoca sovietica? Ma da dove scaturisce l’intento di asportare l’Ucraina da un corpo vivo (ed anche da quella che da tempi remoti, nel corso dei secoli non è mai stata Ucraina come la Crimea o il Donbass, fin quasi ad arrivare al Mar Caspio)? E se ‘autodeterminazione dei popoli’ ha da essere, allora che davvero ogni nazione decida le proprie sorti. E questo non si risolve prescindendo da una votazione popolare. Staccare oggi l’Ucraina significa passare attraverso milioni di famiglie e di persone: quanta commistione di popolazioni; intere regioni e città a predominanza russa; quante persone imbarazzate a scegliere tra le due nazionalità. Fratelli! Non ci serve queste crudele separazioni! Sarebbe il frutto dell’ottundimento degli anni comunisti. Insieme abbiamo sofferto l’epoca sovietica, insieme siamo precipitati in questo baratro, e insieme ne usciremo”. La politica russofoba delle ex repubbliche sovietiche preoccupava Solzencyn, al punto da spingerlo a dichiarare che “s’impone non già la presenza militare russa in quelle repubbliche, bensì la necessità di limitarci ad occupare il territorio propriamente russo”. Come altrettanta preoccupazione Solzenicyn guardò l’allargamento della NATO a Est finalizzato ad una “neutralizzazione della Russia mediante il colpo decisivo”.