Unità, vittoria, Dio: torniamo a Mameli

Unità, vittoria, Dio: torniamo a Mameli

12/10/2021 Off Di   Marcvs   In   Officina   

In principio, ovvero quando Goffredo Mameli ne scrisse il testo nel settembre 1847, era il Canto Nazionale. Poi ufficialmente Canto degli Italiani, popolarmente conosciuto come Inno di Mameli. Musicato in poche ore da Michele Novaro nel novembre 1847, il nostro inno nazionale è stato espressione autentica del patriottismo risorgimentale, ispirando le imprese della prima guerra mondiale e, successivamente, eseguito anche nelle cerimonie della R.S.I. e non disprezzato in certi ambienti antifascisti. Adottato come inno provvisorio della Repubblica Italiana 75 anni fa esatti, il 12 ottobre 1946, ha conservato questo status fino al suo riconoscimento de iure di inno nazionale solo pochi anni fa, il 4 dicembre 2017.

Che cosa rappresenta, oggi, il Canto degli Italiani? Per molti, forse, è solo un insieme di parole da cantare a squarciagola in occasione della partite della Nazionale o un semplice rito da rispettare durante qualche cerimonia istituzionale, ma colto nel suo significato altro non è che un esempio del passato da cui attingere per tornare a essere, davvero, italiani. Attraverso tre parole che ne riassumono il senso più profondo: unità, vittoria, Dio. Il richiamo all’unità nazionale suona come un monito nei suoi versi iniziali: “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta“, e nel suo ritornello “stringiamci a coorte, siam pronti alla morte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò“, poi come una speranza nella seconda strofa: “raccolgaci un’unica bandiera, una speme: di fonderci insieme già l’ora suonò“.

Con il forte senso unitario del Canto degli Italiani vive insieme anche quello della vittoria, subito presente nella prima strofa con “Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, ché schiava di Roma, Iddio la creò“, ma anche nella terza, “uniti per Dio chi vincer ci può?“. Vittoria che, come si evince, va di pari passo con la fede in Dio, valori che oggi sembrano ormai sorpassati in un’epoca materialista e votata al nichilismo più assoluto. Ma è proprio da quelli che si deve ripartire per ritrovare la nostra vera identità: l’unità nazionale che superi divisioni sterili e spesso dettate da concetti stantii (il richiamo a un insensato antifascismo di questi giorni, ad esempio), la vittoria da conquistare contro chi vuole un’Italia occupata e soggiogata da interessi stranieri (“Dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa“!) e la fede in Dio, che di quella Vittoria non potrà non essere artefice.