Bill “profetizza”, i governi pianificano, la società obbedisce

Bill “profetizza”, i governi pianificano, la società obbedisce

25/01/2022 Off Di   Gianluca Kamal   In   Officina   

Nemmeno il tempo di metabolizzare compiutamente il messaggio agrodolce con il quale ha salutato il 2021, “anno di grandi transizioni e di grande tristezza personale per me” (il divorzio da Melinda, NdR) come da lui stesso ricordato nelle sue “Notes”, che già è giunto il momento di nuove profezie e rinnovati appelli a drizzare le orecchie al canto sordo di sirene della sventura imminente. Ce lo ha detto, ancora una volta con parole dalla comprensibilità quasi offensiva e per nulla criptica, nel corso di un’intervista rilasciata negli ultimi giorni al Financial Times: “in quella che penso sia un’era di epidemie e pandemie più frequenti e complesse non ci si dovrà stupire se entro pochi anni il mondo dovesse trovarsi ad affrontare un virus potenzialmente più letale del Sars-Cov2”. Also spracht Bill Gates. L’uomo copertina del Time nel 2017, l’ideatore di Event 201 nell’ottobre 2019, l’esercitazione promossa dalla sua fondazione con l’obiettivo di preparare il mondo ad una pandemia da coronavirus, lo stregone sicuro della fine dell’attuale emergenza entro i primi mesi del 2022. Dell’incredibile capacità dell’uomo di Seattle di prevedere il futuro avevamo già prova allor quando denunciò l’imminente scoppio dei contagi da virus Sars con qualche mese d’anticipo rispetto a quando il primo caso riscontrato a Wuhan venisse reso pubblico. Ma del resto Bill “ci ha sempre preso”, come ha sottolineato un Walter Ricciardi in stato d’adorazione onanistica: “Gates è dal 2013 che avverte. Vuole metterci in guardia, vuole dirci, preparatevi”. Ma quelli che la verità ce l’hanno in tasca (e nei conti correnti), “non la dicono perché sono dei menagramo ma la dicono perché vogliono cercare di evitare i problemi”. Devono essere state le stesse passioni filantropiche e sensibilità per un pianeta minacciato da flagelli che nemmeno nel Medioevo a ispirare l’operato del Consiglio di Stato che lo scorso aprile 2021 ha accolto il ricorso presentato dal Codacons contro lo stesso Ricciardi, il quale fu costretto alle dimissioni da presidente dell’iss per via di finanziamenti e sponsorizzazioni ricevuti da aziende farmaceutiche produttrici di vaccini (Pfizer, Sanofi Pasteur Msd, Glaxo Smith Kline, AbbVie Srl). Insomma, avere contezza dell’esatta natura di taluni individui assurti a veri e propri “alfieri del terrore” grazie a congiunture rivelatesi a loro favorevoli in termini di visibilità e protagonismo mediatico, riesce quasi a tingere di tenerezza persino le più ardite professioni di fede nel Verbo di Bill.

Ma questa volta, più che le profezie in sé, a interessarci maggiormente sono i termini attraverso i quali oggi si pongono le questioni del nostro tempo. E’ alquanto preoccupante osservare, infatti, come nella società del controllo e della pianificazione sociale, i modelli previsionali rivestano un ruolo tanto importante. Ieri (ma anche oggi) utilizzati, per intenderci, per legittimare la più grande battaglia ideologica degli ultimi anni, quella ambientalista o presunta tale, a supporto degli scenari catastrofici che il movimento intende sventare, oggi (e anche domani) a sostegno di politici e medici nella quotidiana sacra pugna contro il terrificante “mostro”. Che cosa però differenzia oggi l’uso del modello previsionale rispetto a quanto accadeva in epoche antiche? In sostanza, la società moderna si dispiega nell’ambito della volontà di potenza, la quale desidera dominare gli eventi e guidare il fato, respingendo la stessa idea di ignoto e di ineluttabilità del destino. Oggi il futuro è fatto per essere determinato, nemmeno più previsto, ed ecco allora che i modelli previsionali ci vengono presentati come lo strumento mediante cui si stilano agende che decidono dell’avvenire di nazioni e dell’intera umanità. Rappresentando un costrutto che riflette scelte e visioni di chi lo imposta (basi ideologiche, quindi) appare abbastanza evidente concludere come esso necessiti di appoggiarsi su dati che siano riconosciuti da tutti i soggetti destinati a condividerne risultati ed effetti. In tempi di modelli previsionali “incredibilmente” azzeccati e di profezie autoavveranti, a poco serve impegnarsi in dotte analisi o in improbabili sofismi. Per leggere (e capire) la realtà a volte bastano il blog di un filantropo miliardario e un’intervista al Financial Times…