Fermiamo la Fiera del bebè (o dell’utero in affitto)!

15/09/2021 Off Di   Anchise   In   Giornale di bordo   

La fantascienza del non mai citato abbastanza “mondo nuovo” di Huxley non è più fanta, è qualcosa che bussa qui, oggi, alle porte di una cultura assopita, assuefatta a qualsiasi cosa, per lo più (per i più) incapace di provare le reazioni più profonde, bollenti e viscerali di fronte alla Bestia che scopre le sue carte e ghigna, sicura di sé. Ma andiamo con ordine.

Il 20 ed il 21 novembre 2021 a Milano si terrà “Un sogno chiamato bebè”, una fiera dove si possono acquistare degli esseri umani. Chiariamoci, a scanso di fastidiose querele: non è che si entra, si sceglie il bambino più bello della nidiata, si paga sull’unghia e si riparte con la creatura. Non almeno nell’edizione 2021, forse il pubblico non è ancora pronto, forse è rimasta ancora troppa gente sveglia che possa gridare allo scempio.

Come funziona allora? Funziona che la fiera rappresenta la testa di ponte per quella aberrante industria nota comunemente e giustamente come quella dell’”utero in affitto”, vanamente edulcorata in “maternità surrogata” o “gestazione per altri”. Si dimostra in un millisecondo l’ottusa ipocrisia di questa grottesca operazione semantica: è sufficiente visitare uteroinaffitto.com per capitare sulla home della BioTexCom, un colosso del mercato che campa sul grembo di centinaia di donne dell’Est Europa che difficilmente sfornano bambini per puro piacere. Se non bastasse e se ancora se ne dubitasse, è bene rispolverare la memoria con un fattaccio avvenuto poco dopo l’innesco del Covid e ad esso dovuto: qualcuno forse ricorda quelle decine di neonati bloccati in un hotel ucraino dalle prime chiusure doganali, che venivano reclamati come beni di possesso dai facoltosi acquirenti che li avevano prenotati e selezionati.

Selezionati, sì, perchè qui l’eugenetica si spreca, è possibile comporre il DNA del nascituro come si vanno a scegliere gli optional dell’autoveicolo.

Il sito è parecchio laconico, troppo forse, per una fiera che vuole esporre. Forse perché stavolta non c’è davvero niente di presentabile da esporre. Oppure perché la maternità surrogata è severamente vietata dal nostro ordinamento giuridico con la legge n°40 del 2004. Intendiamoci, non è che sia necessaria la legge dell’uomo per poter a buon diritto bandire per sempre iniziative simili dalla faccia della terra. E, anche qualora non si avesse personale convinzione nella legge divina, basterebbe un accenno di quel famoso “buon senso comune” o una vaga idea di cosa sia un diritto umano: certo, meno si umanizzano feti e neonati, più diventa facile scartarli oppure barattarli con denaro. Ecco allora il “sogno”, il desiderio chiamato bebè: un feticcio, un pupazzo, il cicciobello di quando si era bambini, l’oggetto delle proprie premure.

Qui però non è più soltanto una questione politica, stavolta non finisce in caciara, non ci sono altarini per spostare dei voti, nemmeno sotto elezioni: qua l’indignazione è bipartisan, o trasversale se l’anglicismo non piace. Buon segno per chi ancora spera di trovare dei principi inalienabili nel cuore delle persone, e che desidera che certa fantascienza rimanga nei libri, a testimonianza di qualcosa che poteva essere ma grazie alla nostra lotta non è stato.