Un brindisi all’Euro!

Un brindisi all’Euro!

05/01/2022 Off Di   Maria Giovanna Ruffoni   In   Officina   

Un nuovo anno ha da pochi giorni iniziato il suo viaggio, tra alti e bassi, tra nuovi e buoni propositi, con fatica arrancando in partenza. Come si è soliti fare, si prepara la lista di ricorrenze per le quali alzeremo festosamente i calici. Abbiamo onorato nel 2021 il centenario del Milite Ignoto e i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta Dante Alighieri. Cioè un ricordare nostro, un onorare italiano ricco di sentimento patriottico che ha fatto piacere e riempito di orgoglio, per chi ci tiene, a far presente la bellezza italica, nella tragedia e nell’immensità della cultura.

I primi giorni del 2022 sono stati animati però da un’altra ricorrenza, idolatrata direi dai media ed elevata a memoria storica per gli europeisti: il primo gennaio ricorreva il ventesimo anno della valuta Euro che entrò effettivamente in circolazione nei sistemi monetari il primo gennaio 2002. Il grande idillio della moneta unica rimbalza su tutti i giornali, come se il nuovo anno dovesse ricordare a tutti quanti noi sudditi della liberazione da chissà quale piaga. I vantaggi? Beh, certamente la comodità nelle transazioni economiche, il non dover chiedere cambi valuta con interessi al limite dell’usura, ma in realtà il sistema dell’usura si riconferma proprio quel 1 gennaio 2002, quando circa 300 milioni di cittadini si ritrovano a tenere in mano una nuova banconota, non voluta, o meglio non scelta propriamente da loro.

Per molti l’Euro è uno dei risultati più tangibili dell’integrazione europea… infatti il Regno Unito ottenne un opt-out mantenendo la propria moneta, la Romania e l’Ungheria persistono nell’utilizzare la propria moneta per gli scambi commerciali interni. Su 27 stati membri, dopo la Brexit, solo 19 stati hanno aderito all’Euro rientrando così nella Eurozona. Integrazione vuol dire letteralmente in senso generico di rendere pieno ciò che è incompleto, ma qui di completo neanche il tabellone di Risiko...

Ad un livello più profondo, per alcuni l’Euro è simbolo di garanzia di stabilità e prosperità, i venti anni trascorsi hanno certamente segnato delle ulteriori restrizioni all’economia dei cittadini e degli stati membri teoricamente sovrani, ma non più in ambito economico-finanziario: per citarne alcuni la crisi del debito sovrano con l’istituzione di un meccanismo comune “salva stati”, ovvero il MES, un meccanismo di sostegno, anzi di distruzione degli stati in difficoltà, fino ad arrivare al perfezionamento del sistema di sorveglianza delle banche europee con a capo la suprema BCE e Supermario.

Sicuramente passi avanti che hanno infatti comportato ad avere oggi uno dei più bassi livelli di investimento da troppo tempo, no money no industry, nessun lavoro e nuove opportunità per i giovani imprenditori. Per molti la moneta unica è una conferma dell’unione e della collaborazione, però chi ha veramente bisogno di collaborazione e aiuti veri le porte dell’Unione se le vede sbattute in faccia.

Nella progettazione dell’Euro e del suo mantenimento si parla di Aree valutarie ottimali, cioè la moneta unica favorirebbe la mobilità dei fattori produttivi, capitale e lavoro, e una maggiore integrazione finanziaria. In sintesi: se esiste uno shock asimmetrico, ovvero una crisi economica in un solo stato membro, la mobilità del capitale e del lavoro permetterebbe di risollevare il problema ed evitare il dilagarsi della crisi. Il bel progetto si è rilevato fallimentare nella crisi finanziaria del 2008. La mobilità ha portato a delocalizzare, spostare soldi e lavoro in paesi con bassa pressione fiscale, quantità e non qualità, lasciando a casa migliaia di lavoratori onesti, che forse sotto sotto al sogno dell’euro ci avevano sperato. Anzi, conseguenza minor salari, difficoltà di inserimento nel mercato lavorativo, soglie di anzianità over 40 sei fuori, under 30 sei stagista. Proprio un gran bell’affare…

Insomma, caro Euro, gli auguri preferiamo non farteli. Per una questione di…tatto, ecco. Gli auguri, con tutto il cuore, facciamoli a noi, nella speranza di risvegliarci presto o tardi da questi vent’anni di notte fonda per l’economia italiana.